Non senza profondo dolore e angoscia dell’animo Nostro abbiamo appreso che la Chiesa Armena di Costantinopoli è travagliata in modo deplorevole da non lievi discordie e perturbazioni, e che la pace (la cui tutela Noi, insieme con i Nostri Predecessori, raccomandammo sempre caldamente a quei Fedeli) quasi si allontana da quella Chiesa. Infatti alcuni Laici, riunitisi con alcuni appartenenti al Clero secolare e ai Monaci di rito Armeno, apertamente disprezzarono e rinnegarono l’autorità del Venerabile Fratello Antonio Pietro IX, Patriarca di Cilicia, e a tal punto ricusarono la giurisdizione canonica del Venerabile Fratello Giuseppe Arakial, Vescovo di Ancyra, (il quale, col Nostro consenso, esercita la potestà vicaria dello stesso Patriarca nella predetta città) che osarono rifiutare o non assecondare la sua volontà e i suoi ordini. E giunsero a tal segno che non esitarono a mettere in dubbio anche la legittima elezione del predetto Patriarca, sebbene conclusa con il suffragio unanime dei Vescovi e confermata dal giudizio e dell’autorità Nostra, e ad interrompere pubblicamente la sua solenne commemorazione durante il sacrosanto sacrifico della Messa e le divine funzioni. Inoltre, non ebbero alcun timore di erigere un altare in una casa privata in opposizione al legittimo altare di Cristo e di fondare colà una Chiesa che denominarono Chiesa cattolica Armena indipendente, con singolare contraddizione nei termini, come se nella Chiesa cattolica fosse lecito ai fedeli vivere a loro arbitrio e non piuttosto debbano obbedire ai loro superiori e sottomettersi ad essi, secondo il precetto dell’Apostolo.
Sono certamente assai gravi, Venerabile Fratello, fatti così riprovevoli, e tanto più penosi per Noi in quanto non Ce li saremmo mai aspettati, in particolare dagli Armeni che vivono a Costantinopoli: ad essi, infatti, la Sede Apostolica ha sempre dedicato singolare attenzione e sollecitudine. Né l’amarezza del Nostro dolore è stata addolcita dalle assicurazioni di riverenza e di obbedienza verso questa Cattedra del Beatissimo Pietro che Ci furono rivolte nelle petizioni dei suddetti Laici, Chierici e Monaci: quelle assicurazioni sembravano confermare con futile voce di appello l’ammonizione del suddetto Venerabile Fratello Giuseppe, alla quale parecchi intendevano sfuggire. Infatti, contro l’autorità di questa Apostolica Sede divinamente costituita, furono disseminate tra la gente erronee, false dottrine e calunnie, e furono disprezzate e sminuite anche la forza e l’autorità delle Nostre Costituzioni.
Pur rammaricandoci di cuore per questi episodi, non possiamo lodare abbastanza la maggior parte degli Armeni di tale Città, i quali si irrigidirono nel dovere e nella fede, e supplicarono il loro legittimo Patriarca e questa Nostra Sede, sospinti dalla loro coscienza, di essere liberati da tanti mali.
Volendo soccorrere costoro per obbligo del Nostro ministero, Ti invitiamo, Venerabile Fratello che operi nella Città di Costantinopoli per Nostra Apostolica delega, a ritornare quanto prima nella stessa città e ivi, in ragione dell’incarico a Te affidato, a rafforzare i cattolici Orientali nella loro fede, a ricondurre con tutte le tue energie sulla via della salvezza coloro che vennero meno al loro dovere.
Per assolvere degnamente questo incarico è necessario, Venerabile Fratello, che tu richiami e inculchi nella mente dei Fedeli a Te affidati che è proprio della fede cattolica il credere essere stata tramandata da Nostro Signore Gesù Cristo al Romano Pontefice la piena autorità e potestà di pascere, di reggere e di governare la Chiesa universale in nome del Beato Pietro. Il pieno e libero esercizio di tale potestà non può essere circoscritto o coartato da confini territoriali o nazionali; tutti coloro che si gloriano del nome di cattolico non solo devono condividerne la fede e i dogmi, ma devono anche ubbidire per quanto riguarda i riti e la disciplina. Perciò non omettere di insegnare agli Armeni e a tutti gli Orientali quanta differenza intercorra tra la disciplina e il rito, in quanto la confusione dei due termini turba la mente di quei fedeli; essa non cessa di offrire occasione a numerose e ingiuste lamentele; di essa abusano, per suscitare ostilità contro la Sede Apostolica, tutti coloro che non si vergognano affatto di ostacolare o sminuire l’azione salvifica e la forza della stessa Sede nelle Chiese Orientali. Invero Noi, insieme con i Nostri Predecessori, dichiarammo che i riti Orientali dovevano essere conservati purché non fossero incompatibili con la fede e l’unità cattolica, né venissero meno alla onestà ecclesiastica. Ciò non impedisce affatto che, soprattutto nelle questioni che concernono il regime Ecclesiastico, la disciplina canonica sia ovunque coerente, almeno per quanto riguarda i punti principali, e sia ripristinata dove sia stata sovvertita o caduta. Né da questo atteggiamento defletteremo mai, in quanto lo richiede il dovere del Nostro ministero Apostolico. Proprio con tale proposito pubblicammo il 12 luglio 1847 la Nostra Costituzione che inizia con Reversuros, e vogliamo che essa rimanga in vigore e che sia scrupolosamente osservata da tutti coloro ai quali compete; nulla infatti è più opportuno di quella Costituzione per proteggere la libertà ecclesiastica, per preservare i diritti e l’autorità dei sacri Vescovi e per conservare sempre meglio la religione e l’unità dei cattolici.
Invero, coloro che negano o tengono in poco conto i diritti e i compiti della Sede Apostolica, con quale ragione, con quale animo possono poi promettere riverenza e obbedienza verso di essa? Questo sembrava infatti il presupposto delle sopraddette petizioni di parecchi Armeni, con le quali si chiedeva anche che, fatti salvi i loro riti, gli Armeni si sarebbero sottomessi interamente alla giurisdizione del Delegato Apostolico finché il Venerabile Fratello Antonio Pietro IX avesse ricoperto l’incarico di Patriarca. Giudicammo che ciò in nessun modo si dovesse permettere, anche perché si trattava di un manifesto espediente per invalidare la sua legittima autorità.
È anche più grave abusare dell’autorità della Sede Apostolica per sfuggire alle ammonizioni dei Prelati. Infatti è sacro e rispettato in ogni età e tenuto in onore il diritto di appello al Romano Pontefice, cui appartiene il divino potere di annullare le sentenze di qualsiasi giudice. Ma, invero, non si può affatto tollerare questo pretesto e abusare di esso a sostegno della disobbedienza, quando è evidente che coloro che sono subornati da quel consiglio in termini di ricorso si scagliano ingiustamente contro la disciplina ecclesiastica. Un rimedio contro il ricorso (come ammonì Alessandro III Nostro Predecessore) non è ancora stato trovato in modo che debba costituire difesa nei confronti di chi, dissoluto, devia dal rispetto della religione e dell’ordine. Ed è noto a tutti che occorre tener conto dei ricorsi soltanto in materia di ammonizione e di caduta dei costumi, come si dice. Coloro che oseranno agire diversamente, si convincano che sono non tanto figli devoti della Sede Apostolica quanto perturbatori dell’Ordine ecclesiastico.
Al fine di preservare codesto Ordine, dalla cui serenità sorge la pace, è necessario che ciascuno, memore della propria condizione, eviti di oltrepassare i confini delle leggi ecclesiastiche a lui assegnati. Perciò i sacerdoti devono essere del tutto estranei alle occupazioni mondane ed essere sempre dediti alla salute delle anime e obbedire ai Vescovi con quella riverenza che si conviene. Anche i Monaci, che nella loro professione ripudiarono ogni cura temporale, devono condurre una vita tranquilla e incontaminata, in santa convivenza e secondo la norma del loro Ordine, nei Monasteri o negli ospizi, devono sempre adoperarsi per la salvezza eterna propria e del prossimo, praticando la riverenza e l’obbedienza che devono ai Vescovi. Per tale motivo questa Santa Sede – per i Monaci che vivono a Costantinopoli – già da tempo ha emanato salutari leggi e istruzioni che iniziano con Complures e con Compertum est ; se esse fossero state osservate, non saremmo costretti a dolerci che alcuni Monaci si siano allontanati dal retto cammino. Prescriviamo pertanto che queste istruzioni siano recepite da tutti coloro a cui sono rivolte, e a Te diamo l’incarico di farle scrupolosamente rispettare conforme al dovere e alla potestà del Tuo ufficio. Infine, la categoria dei Laici resti nell’ambito dei suoi doveri e non si immischi in alcun modo nelle questioni ecclesiastiche. A loro spetta, nella Chiesa, imparare e non insegnare, essere guidati e non guidare; alla Chiesa di Dio nulla riuscì così nocivo (e perciò nulla di più deprecato dai Santi Padri e dai Concilii, anche Ecumenici) come l’interferenza dei Laici nelle questioni e nell’ordine degli ecclesiastici.
Questi i precetti, Venerabile Fratello, che ritenemmo opportuno farti conoscere e prescriverti; e perché Tu possa più utilmente metterli in pratica, a Te affidiamo con questa Lettera tutte le opportune facoltà.
Suvvia, dunque, e forte del divino aiuto, poni mano alacremente all’opera e rivolgiti tosto a coloro che Noi non possiamo visitare. Confidiamo infatti che la Beatissima Madre di Dio concepita senza peccato, e San Gregorio che fu vera luce e Apostolo della gente Armena, impetreranno da Gesù Cristo Nostro Signore ogni grazia, sicché Noi che speriamo in Lui non saremo confusi e Noi, che di tanti mali Ci rattristiamo, potremo consolarci e gioire nei figli Nostri. Auspice di questo bene, che invochiamo con assidue preghiere a Dio, e di tutti i doni celesti, quale pegno della Nostra speciale benevolenza verso di Te, con tutto il cuore a Te, Venerabile Fratello, e a tutti i Chierici e ai Fedeli Laici affidati alle Tue cure, impartiamo amorevolmente l’Apostolica Benedizione.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 24 febbraio 1870, nell’anno ventesimoquarto del Nostro Pontificato.