Pio IX si mostrava benevolo verso un’altra categoria di sudditi: gli Ebrei.
Questa sua generosa benevolenza si era già fatta manifesta nei primi atti del suo governo. Aveva abolito le umilianti cerimonie cui quelli soggiacevano, versando gli annui tributi alla Camera Apostolica (173). Più tardi li soccorreva con una somma di 300 scudi per i danni subiti dalla inondazione del Tevere; poi li ammetteva a godere delle elemosine pubbliche, e faceva godere altresì dei privilegi concessi alle famiglie numerose, anche gli Ebrei padri di dodici figli.
Al momento della istituzione della Guardia Civica gl’Israeliti vi furono ammessi. Non mancarono atti di spontanea simpatia popolare da parte di buoni e generosi popolani, di maniera che il popolo dava ora prova di seguire con simpatia le disposizioni del Pontefice. Così il 5 luglio 1847 un popolano di Trastevere, certo Favella, portatosi insieme ad alcuni amici, in una piazzetta interna del Ghetto, aveva invitato tutti gli Ebrei, che lo desiderassero, a scendere in un’osteria vicina, a bere insieme, ed egli infatti, versò loro abbondantemente del vino. Il giorno dopo, Luigi Caraccioli, con una schiera di conciapelli entrava nel Ghetto, per fare agli abitatori di quel luogo, reputato d’infamia, una dimostrazione di simpatia. Verso sera, poi, egli stesso, i suoi amici e molti Israeliti si recavano incontro a Ciceruacchio.
Questo fraternizzare dei liberali e dei popolani con gli Ebrei aveva bene il suo significato. Ma il provvedimento pontificio di maggiore importanza, soprattutto per le ripercussioni che suscitò, fu un altro.
Il Pontefice aveva nominato una Commissione, la quale esaminasse le condizioni igieniche del Ghetto, e questa decise di permettere agli Ebrei di abitare fuori di quell’orribile quartiere. Così, nella notte dal 17 al 18 aprile, venivano abbattute le mura e le porte del Ghetto. Il fatto venne lodato dalla stampa liberale (174), ma offerse agli altri il pretesto per suscitare le ire di una parte del popolo minuto, che verso gli Ebrei continuava a nutrire dei pregiudizi, e li considerava eretici, empi, nemici della religione cattolica e crocifissoci di Gesù.
I Gregoriani, ossia i nemici delle riforme, soffiarono nel fuoco facendo credere, specialmente ai piccoli commercianti e ai lavoratori del rione Regola, confinante col Ghetto, che quella libertà concessa agli Ebrei si sarebbe risolta in grave danno per le loro industrie, sì che tra il 18 e il 30 aprile si ebbero, nei dintorni del Ghetto, minacciose adunanze di plebe, furti e violenze. Un proclama energico del ministro De Rossi, ottenuto dall’israelita Samuele Alatri, trattenne da ulteriori eccessi i malintenzionati.
Davide Levi piemontese, salutò in un canto l’opera enancipatrice iniziata da Pio IX.
(174) Si legga, fra gli altri, un commento apparso ne il Contemporaneo, a. II, 20aprile 1848, n. 47, p. 185, Gl’Israeliti di Roma (Anonimo); La Pallade, 18 aprile 1848, n. 221, Gl’Israeliti concittadini e 19 aprile 1848, n. 222. Di chi è il merito? Con questi provvedimenti l’abate Luigi Vincenzi scrisse l’opuscolo Alcuni pensieri sopra gli atti di beneficenza del Sommo Pontefice Papa Pio IX … verso gli Ebrei di Roma e sopra vari commenti manifestati al pubblico per questo proposito, ovvero l’ebraismo in Roma e nell’Impero innanzi e dopo l’era volgare, Roma 1848, pp. 91-93.
Demarco D., “Pio IX e la rivoluzione romana del 1848. Saggio di storia economica e sociale”, Modena, 1947