Maximo animi

26 settembre 1859

Con grandissimo dolore dell’animo Nostro, Venerabili Fratelli, nell’Allocuzione tenutavi il giorno venti dello scorso giugno abbiamo lamentato tutto ciò che dai nemici di questa Sede Apostolica si è commesso in Bologna, Ravenna ed altrove contro il civile e legittimo Principato Nostro e della medesima Santa Sede. Inoltre, in quella stessa Allocuzione abbiamo dichiarato che tutti i responsabili sono incorsi nelle censure ecclesiastiche e nelle pene inflitte dai sacri Canoni, e che tutti i loro atti sono irriti e nulli. Ci confortavamo con la speranza che questi Nostri figli ribelli, eccitati e commossi da queste Nostre voci, sarebbero tornati al dovere: specialmente essendo a tutti noto con quanta mansuetudine e con quanta dolcezza, fin dal principio del Nostro Pontificato, e con quanta alacrità e studio, fra le gravissime difficoltà dei tempi, non abbiamo mai tralasciato di adoperare ogni Nostra cura e ogni Nostro pensiero a promuovere anche la temporale utilità e la tranquillità dei Nostri popoli.

Ma questa Nostra speranza andò pienamente delusa. Infatti, essi, confortati specialmente da consigli, istigazioni, e ogni sorta di aiuti forestieri, e fatti perciò più audaci, tentarono ogni cosa al fine di perturbare tutte le province dell’Emilia soggette alla Nostra dominazione, e di separarle dal Principato di questa Santa Sede. Quindi in quelle stesse province, innalzato il vessillo della ribellione e della defezione, e abolito il Governo Pontificio, prima vi si stabilirono i Dittatori del Regno Subalpino, i quali poi furono chiamati Commissarii straordinari e, dopo, Governatori generali, i quali, arrogandosi temerariamente i diritti del supremo Nostro Principato, rimossero dai pubblici uffici coloro che, per la loro specchiata fede verso il legittimo Principe, erano sospettati di non consentire coi loro pravi consigli. Non dubitarono poi, essi medesimi, d’invadere anche la potestà ecclesiastica, avendo pubblicato nuove leggi sopra gli ospedali, gli orfanotrofi ed altri legati, luoghi ed istituti pii. Né temettero di vessare alcuni ecclesiastici e di espellerli, ed anche di gettarli in carcere. Mossi poi apertissimamente dall’odio verso quest’Apostolica Sede, osarono riunirsi in Bologna il giorno 6 di questo mese, in assemblea, da loro detta nazionale, dei popoli dell’Emilia, ed in essa promulgare un decreto pieno di false accuse e falsi pretesti, in cui mendacemente asserendo l’unanimità dei popoli contro i diritti della Chiesa dichiararono di non voler più oltre sottostare al Governo Pontificio. E nel giorno seguente dichiararono parimenti, come ora è la moda, di volersi unire ai domini ed all’obbedienza del Re di Sardegna.

Contemporaneamente a questi deplorevoli ardimenti, i capi di questa fazione non esitarono ad impiegare ogni loro arte nel corrompere i costumi del popolo, specialmente per mezzo di libri e di giornali stampati in Bologna ed altrove, con i quali si favorisce la licenziosità universale, si colpisce con ingiurie il Vicario di Cristo in terra, si pongono in ludibrio gli esercizi di pietà e di Religione e si deridono le preghiere dirette ad onorare l’Immacolata e Santissima Madre di Dio Vergine Maria, e ad invocarne il potentissimo patrocinio. Negli spettacoli teatrali, poi, si offendono l’onestà dei costumi, il pudore e la virtù, e si espongono al pubblico disprezzo ed alla comune derisione le persone sacre.

Queste cose si fanno da coloro che si dicono cattolici e cultori e veneratori della suprema spirituale potestà ed autorità del Romano Pontefice. Ognuno vede quanto sia fallace questa loro dichiarazione: giacché essi, così operando, cospirano con tutti coloro che combattono duramente il Romano Pontefice e la Chiesa Cattolica, e fanno ogni sforzo perché, se fosse possibile, la nostra Religione e la sua salutare dottrina siano divelte e sradicate dall’animo di tutti.

Per tali cose, Voi specialmente, Venerabili Fratelli, che siete partecipi delle Nostre fatiche e molestie, ben facilmente intendete in quale dolore Noi siamo immersi e da quale lutto ed indignazione siamo afflitti, insieme con Voi e con tutti i buoni.

Ma in mezzo a tanto dolore Ci consoliamo sapendo che la massima parte dei popoli dell’Emilia, lamentando simili audacie ed esecrando chi le commette, si conserva fedele al suo legittimo Principe e costantemente aderisce al civile Principato Nostro e di questa Sede; e che tutto il clero delle stesse province, degno certamente di somme lodi, nulla ha avuto più a cuore quanto di compiere diligentemente il suo dovere in mezzo a tanto moto e tumulto di cose, e di mostrare apertamente quanto sia fedele ed ossequiente verso Noi e questa Sede Apostolica, sprezzando e non curando ogni benché durissimo pericolo.

E dovendo Noi, per ragione del Nostro gravissimo ufficio e per l’obbligo del solenne giuramento, propugnare intrepidamente la causa della Nostra santissima Religione, difendere fortemente i diritti e i possessi della Chiesa Romana da ogni violazione, sostenere costantemente il Principato di quest’Apostolica Sede e trasmetterlo intero ai Nostri Successori come Patrimonio di San Pietro, non possiamo non innalzare di nuovo l’Apostolica Nostra voce affinché tutto il mondo cattolico, specialmente e per primi tutti i Venerabili Nostri Fratelli Vescovi – dai quali, tra le grandissime Nostre angustie, ricevemmo, con somma consolazione dell’animo Nostro, tante esimie ed illustri testimonianze della loro fede, sollecitudine ed amore verso Noi, questa Santa Sede ed il Patrimonio di San Pietro – conoscano quanto altamente da Noi si condanni ciò che osarono commettere costoro nelle province dell’Emilia soggette al Pontificio Nostro dominio. Pertanto, in quest’amplissimo vostro consesso, nuovamente riproviamo e dichiariamo irriti e nulli gli atti dei ribelli già ricordati e tutti gli altri, comunque essi si chiamino, commessi contro la potestà e l’immunità ecclesiastica, contro la suprema Nostra dominazione civile e di questa Santa Sede, contro il Nostro Principato e la Nostra potestà.

Nessuno poi ignora che tutti coloro, i quali nelle predette province diedero ai detti atti la loro opera, il loro consiglio, il loro assenso, od in qualunque altro modo li favorirono, sono caduti nelle censure e nelle pene ecclesiastiche che nella predetta Nostra Allocuzione abbiamo rammentate.

Del resto, Venerabili Fratelli, ricorriamo con fiducia al trono della grazia per ottenere l’aiuto divino e la forza in circostanze così aspre: né tralasciamo di pregare e di supplicare umilmente e caldamente, con assidue e fervorose preghiere, Dio ricco di misericordia, affinché con l’onnipotente sua virtù riduca a migliori consigli ed alle vie della giustizia, della Religione e della salute tutti gli erranti, alcuni dei quali forse, miseramente ingannati, non sanno quello che si fanno.

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