Multis gravissimis

Mossi, anzi spinti, da molte gravissime e giustissime cause, con lettera apostolica, data in questo giorno e valevole per sempre, abbiamo estinto, soppresso ed annullato del tutto, in forza della Nostra suprema potestà apostolica, la reclamata Legazione Apostolica di Sicilia, e la cosiddetta Monarchia, il Giudice Delegato ed il suo Tribunale, ed anche l’altro Tribunale istituito dall’autorità civile a Messina, senza motivo, sul finire dell’ultimo secolo, i notai, gli scrivani, i ministri e gli altri ufficiali comunque denominati, le dignità, gli uffici, i ministeri e tutti i loro titoli ed appellazioni. Abbiamo revocato, abrogato ed estinto pienamente e totalmente, ed abbiamo voluto e comandato che da tutti i fedeli siano considerati, stimati ed abrogati interamente, estinti ed annullati tutti e singoli gli indulti, le facoltà ed i privilegi, anche più volte confermati se ve ne fossero, concessi in qualunque modo a loro ed a ciascuno di loro da Noi e da qualunque altro Sommo Pontefice Nostro Predecessore. Ma nel medesimo tempo, sommamente solleciti per la vostra utilità e il vostro vantaggio, e perciò desiderosi di ovviare ai vostri incomodi con somma cura, abbiamo ritenuto di dovere stabilire un altro modo con il quale, a norma dei sacri canoni, estinto ed abolito l’incarico e l’ufficio del Giudice Delegato e il suo Tribunale, le cause appartenenti al foro ecclesiastico possano legalmente essere discusse e giudicate, e condotte al debito fine: perciò abbiamo creduto di dovere provvedere in special modo nella stessa vostra isola alla maniera di esaminare e decidere le medesime cause. Dalla qual cosa tutti certamente ogni giorno di più vedranno non solo la somma carità dell’animo Nostro verso di voi e la singolare sollecitudine per i vostri comodi e la vostra utilità; ma chiaro ed apertamente conosceranno che Noi abbiamo preso le sopraddette risoluzioni per togliere di mezzo scandali e mali gravissimi, dai quali erano veementemente afflitti i fedeli siciliani, e per provvedere alla salute delle anime, alla giurisdizione dei Vescovi, all’onore, alla dignità ed all’autorità di questa Sede Apostolica. Quindi, dopo lunga ed accurata indagine, ponderata ogni cosa con somma diligenza, come richiedeva la gravità della materia, uditi alcuni Venerabili Nostri Fratelli Cardinali della Santa Chiesa Romana ed i diletti Figli Prelati della Curia Romana, dotti nella scienza legale e periti nella pratica degli affari, abbiamo deciso di stabilire, prescrivere ed ordinare la norma seguente, per la pronta e retta cognizione e trattazione delle stesse cause, la qual norma vogliamo, ordiniamo e comandiamo che sia diligentemente ed inviolabilmente osservata da tutti al presente ed al futuro:

I. Tutte le cause dei non esenti, le quali appartengono in qualsivoglia modo al foro ecclesiastico, di qualunque genere siano, nel primo giudizio, ossia istanza, debbano essere trattate soltanto dinanzi agli Ordinarii del luogo, né si possano avocare dal loro tribunale, fuorché a titolo di appello o della sentenza interlocutoria, il cui gravame non possa essere riparato con la sentenza definitiva; ovvero siano rimaste dinanzi al tribunale dell’Ordinario, senza essere giudicate o decise, per due anni interi da computarsi dal giorno in cui cominciò la causa, come fu prudentemente stabilito con decreto del Concilio di Trento . Se non si osserverà questa regola, qualunque appello, inibizione o decisione siano nulli di per se stessi e senza nessun valore o forza.

II. Si appelli dalla sentenza dell’Ordinario al Metropolitano, osservando in tutto la forma prescritta dallo stesso Concilio. Quando il Metropolitano avrà deciso la causa in prima istanza, come giudice del luogo, l’appello si porti dinanzi al Vescovo suffraganeo più anziano nella provincia, come Delegato apostolico. Le sentenze in prima istanza pronunciate dall’Arcivescovo di Catania, che non ha Vescovi suffraganei, si portino in appello all’Arcivescovo di Messina, come Delegato della Sede Apostolica.

III. Dall’Archimandrita di Messina, che in alcune terre, ossia luoghi di nessuna diocesi della provincia di Messina, esercita la giurisdizione quasi episcopale, si appelli all’Arcivescovo di Messina, come Delegato apostolico.

IV. Infine, dall’Abate di Santa Lucia, che parimenti esercita la giurisdizione quasi episcopale in una o più terre, o luoghi di nessuna diocesi nella provincia di Messina, si appelli all’Arcivescovo di Messina, come Delegato apostolico.

V. Con le sopraddette prescrizioni non intendiamo conferire nessun nuovo diritto agli stessi Archimandrita di Messina ed Abate di Santa Lucia.

VI. La parte che si crederà gravata dalla seconda sentenza del Metropolitano o del Vescovo anziano, o del Delegato, potrà appellarsi a Noi od al Pontefice Romano esistente pro tempore, affinché la causa si decida definitivamente nella Curia romana, secondo il diritto; ovvero, se meglio piacerà alla stessa parte, potrà chiedere che la sentenza definitiva sia affidata ad un giudice ecclesiastico in Sicilia, con lettera apostolica munita delle opportune e necessarie clausole, secondo il diritto.

VII. Gli Ordinari del luogo si astengano dal trattare in alcun modo, né in prima né in seconda istanza, le cause chiamate maggiori, le quali, secondo le disposizioni del Concilio Tridentino, dei sacri canoni e delle Costituzioni apostoliche, devono essere trattate solo nella Curia romana, o dai giudici che il Romano Pontefice pro tempore delegherà allo scopo; si astengano anche dal privare del diritto di ricorrere alla Sede apostolica in prima o seconda istanza, omesso il tribunale di mezzo anche per le cause minori, le parti che vogliono ricorrervi.

VIII. Nessuno dei predetti giudici di prima, di seconda ed anche di terza istanza, né alcun altro giudice ecclesiastico di qualsivoglia grado e condizione, ancorché insignito della dignità di Legato a latere, possa mai assolvere, neppure con la coincidenza ed all’effetto solo di operare validamente, chi è incorso nelle censure ecclesiastiche stabilite dalle Costituzioni apostoliche, l’assoluzione delle quali è riservata al Romano Pontefice. Parimenti si astengano tutti i sopraddetti, quando le stesse censure da loro furono dichiarate e promulgate, dall’ingerirsi in alcun modo e dall’esaminare se quelle censure siano valide o nulle, giuste od ingiuste; questo esame appartiene solo al Romano Pontefice, come è provato e manifesto.

IX. Del resto gli Arcivescovi, i Vescovi e gli altri giudici Ordinari, o delegati a giudicare le cause o da delegarsi, anche negli appelli devono interamente uniformarsi ai sacri canoni, al Concilio Tridentino, alle Costituzioni apostoliche e principalmente al Decreto della felice memoria di Clemente VIII Nostro Predecessore, in data 16 ottobre 1600, il quale comincia Ad tollendas, ed alla Costituzione di Benedetto XIV Nostro Predecessore di felice memoria, la quale comincia Ad militantis Ecclesiae del 29 marzo 1742.

X. Le sospensioni che, ex informata conscientia, sogliono infliggere gli Ordinarii non si possono considerare come causa da trattarsi in giudizio; perciò coloro che furono sottoposti a queste sospensioni potranno solo presentare preghiere al Sommo Pontefice, senza che i suddetti giudici possano in nessun modo immischiarsi in tali cose.

XI. Nelle cause di nullità del matrimonio comandiamo che si osservi la Costituzione di Benedetto XIV Nostro Predecessore, del 3 novembre 1741, la quale comincia Dei miseratione. Le prescrizioni poi che si devono osservare diligentemente sono compendiate nei seguenti articoli:

1. In ciascuna diocesi il proprio Ordinario deve eleggere a difensore dei matrimoni una persona di specchiata fede, esperta nel diritto canonico, se è possibile appartenente al ceto ecclesiastico. L’Ordinario avrà facoltà di rimuoverla dall’ufficio e di surrogarla con altra persona fornita delle specificate doti, ogni qualvolta la persona scelta all’ufficio di difensore sia impedita legittimamente dall’adempiere il proprio dovere;

2. Questo difensore od avvocato dovrà assistere a tutte le cause che si tratteranno sulla validità o nullità del matrimonio, e perciò dovrà essere citato in tutti e singoli gli atti, ed assistere all’esame dei testimoni, che si farà a voce o per iscritto; dovrà difendere la validità del matrimonio ed addurre tutti gli argomenti che sappia necessari od acconci a provarne la validità.

3. Affinché il processo sulla validità del matrimonio sia legale e non abbia nessun difetto di nullità, è necessario che il difensore dei matrimoni vi assista, sia che sia presente uno solo, oppure l’uno e l’altro dei coniugi agiscano contro la validità del matrimonio, sia che ambedue i coniugi siano presenti in giudizio, uno dei quali per contestare la validità del matrimonio e l’altro per difenderla. Lo stesso difensore dei matrimoni, assumendo il suo ufficio, deve prestare giuramento di adempierlo con rettitudine e fedelmente; tale giuramento dovrà essere rinnovato in ciascuna causa. Qualunque atto giudiziario si faccia senza citare ed ordinare legittimamente la presenza del difensore dei matrimoni, è interamente nullo.

4. Se la sentenza pronuncia valido il matrimonio e nessuna delle parti si appelli, il difensore dei matrimoni si asterrà dall’appello egli pure, e se ne asterrà anche se la sentenza del giudice in seconda istanza sarà per la validità del matrimonio, quantunque in prima istanza giudicato nullo; ma se la prima sentenza fu per la nullità del matrimonio, il difensore deve appellarsi nel termine definito dal diritto canonico, dichiarando di stare per la parte che sostiene valido il matrimonio; se nessuna delle parti si appella contro la sentenza di nullità, il difensore dei matrimoni deve appellarsi per obbligo del suo ufficio.

5. Durante l’appello per qualunque causa, se l’uno o l’altro dei coniugi tentasse di passare a nuove nozze, sia sottoposto alle pene canoniche stabilite contro coloro che ardiscono contrarre nozze proibite dalla Chiesa, e soprattutto i coniugi saranno sottoposti alla separazione, finché non sia pronunciata la seconda sentenza, sulla nullità della quale non venga appellato entro dieci giorni, o si sia abbandonato l’appello: inoltre incorreranno nelle pene stabilite dai canoni contro i poligami.

6. Dopo che la causa è stata definita dal giudice di seconda istanza, da parte del difensore dei matrimoni si deve osservare quanto fu prescritto per la prima istanza. Allo stesso giudice di seconda istanza spetterà eleggere il difensore dei matrimoni, e così nei giudizi di grado successivo.

7. Se tanto la prima come la seconda sentenza avranno dichiarato nullo il matrimonio, né la parte cui spetta avrà interposto nuovo appello, e il difensore secondo la sua coscienza giudicherà di non doverlo provocare o di non doverlo proseguire, allora sarà lecito ad ambedue i coniugi passare ad altre nozze, purché non esista nessun impedimento legittimo, né per altra ragione sia loro proibito di contrarre matrimonio. Fermo però resterà il privilegio delle cause matrimoniali che non possono mai per nessuno spazio di tempo passare in cosa giudicata; perciò se si scoprisse qualche cosa non addotta in giudizio, o per ignoranza non conosciuta, di nuovo si può riprendere la causa sulla validità del matrimonio. La facoltà concessa ai coniugi di passare a nuove nozze resta sempre sottoposta a questo privilegio. Che se dalla seconda sentenza, che pronuncia per la prima volta la nullità del matrimonio, nessuna delle parti appellerà, o la sentenza sia tale che il difensore non possa approvarla, perché gli sembri chiaramente ingiusta ed invalida, o perché fu pronunziata in terza istanza contro la sentenza di secondo grado per la validità del matrimonio, allora sarà proibito ai coniugi, sotto le pene sopraddette, di passare ad altre nozze, e la causa si dovrà trattare di nuovo in terza e in quarta istanza, osservando tutte e singole le prescrizioni che sono ordinate nella prima e nella seconda istanza relativamente al difensore dei matrimoni.

8. Al difensore dei matrimoni verranno dati gli emolumenti prescritti nella suddetta Costituzione di Benedetto XIV.

XII. Riguardo ai Regolari ed alle loro cause, con la presente lettera non si concede nessuna facoltà agli Arcivescovi e ai Vescovi, che potranno esercitare, a riguardo di quelli e delle loro cause, soltanto quella autorità che dai sacri canoni, dal Concilio di Trento e dalle Costituzioni apostoliche compete realmente agli Ordinari. Per la qual cosa gli stessi Ordinari non potranno in nessun modo oltrepassare i limiti prescritti dal diritto; né impedire ai Superiori degli Ordini regolari di procedere ed esercitare liberamente l’autorità e la propria giurisdizione a norma e secondo le prescrizioni delle speciali Costituzioni di ciascun Ordine religioso: in caso contrario le sentenze pronunciate dagli Arcivescovi e dai Vescovi e tutti gli altri atti da loro compiuti siano del tutto nulli e vani.

XIII. Per provvedere ai Regolari che vogliono promuovere la causa della nullità della loro professione religiosa, nonostante la Costituzione di Benedetto XIV del 4 marzo 1747 che comincia Si datum, comandiamo che si osservi quanto segue: Se qualcuno, dopo il quinquennio, da contarsi secondo il prescritto del Concilio di Trento, vuole incominciare la causa per la restituzione in integro, dovrà porgerne supplica alla Sede Apostolica. Se poscia, dalle informazioni che sopra tale cosa avrà creduto di prendere, il Sommo Pontefice conoscerà che la supplica contiene giusti argomenti, designerà per i singoli casi in Sicilia uno o più Vescovi, cui rinvierà la domanda, affinché trattino la causa a termini di diritto, la decidano e dettino la sentenza, la quale sarà definitiva, inappellabile. Se deciderà che vi è materia per la restituzione in integro, ovvero se qualcuno nel quinquennio vuole fare causa per la nullità della professione religiosa, se ne comincerà il processo dinanzi all’Ordinario del luogo ed al Superiore regolare, che sarà giudice assessore con lo stesso Ordinario. L’Ordinario avrà sempre diritto di rimandare questa causa al suo Tribunale, composto del Vicario generale e di altre persone ecclesiastiche, tra le quali siederà giudice anche il Superiore regolare; questo Tribunale sarà composto di un numero dispari di giudici, tutti con voto deliberativo. La decisione presa dall’Ordinario in questo modo, sia favorevole sia contraria alla validità della professione religiosa, dovrà essere sottoposta ad una revisione per avere due decisioni conformi. L’Ordinario quindi comunicherà la sua sentenza alla Sede Apostolica, affinché il Sommo Pontefice scelga uno o più Vescovi, come sopra, per rivedere la causa, e vi aggiunga un giudice regolare, se gli pare opportuno. Se la seconda sentenza è contraria alla prima, vogliamo una nuova revisione e perciò la seconda sentenza dovrà essere comunicata alla Santa Sede, affinché si finisca la causa nella Curia romana a termini di diritto, o, se la parte lo chiede, il Sommo Pontefice scelga un altro od altri Vescovi per la terza revisione, e la terza sentenza, come sopra, si comunichi alla Sede Apostolica. Dopo due sentenze per la nullità, se il difensore delle professioni religiose, come fu detto sopra nelle cause matrimoniali, non crederà di dovere appellarsene, allora la persona religiosa, come non legata da alcun voto, potrà uscire dal monastero; ma se dopo una sola sentenza di nullità, pendente od omessa la seconda revisione, oserà uscire di monastero, abbandonare l’Ordine religioso e l’abito proprio, incorrerà in tutte le pene stabilite dai canoni contro gli apostati, e verrà giudicata sempre legata dai voti religiosi.

In ultimo vogliamo e comandiamo che tanto nelle cause di restituzione in integro, quanto nelle altre per la nullità delle professioni religiose e successive revisioni, sia osservata la sopraddetta Costituzione di Benedetto XIV, che cominciaSi datam, in quegli articoli però ed in quelle parti soltanto che non s’oppongono alle Nostre concessioni sopra riferite; per la qual cosa crediamo di dovere indicare in compendio gli articoli che si devono osservare:

1. Il decreto del Concilio di Trento comprende anche le monache.

2. Le forme prescritte si devono osservare anche ogni qualvolta l’Ordine religioso chiede l’annullamento della professione fatta da un suo membro.

3. Lo spazio di cinque anni, nei quali si può chiedere l’annullamento, deve contarsi dal giorno in cui fu fatta la professione religiosa, quantunque il timore sia durato per più di cinque anni.

4. Il Superiore regolare, che col Vescovo giudicherà della causa, deve essere il moderatore o superiore in esercizio della casa religiosa e del convento in cui l’attore fece la sua professione. Per le monache soggette alla giurisdizione dei Regolari, sarà il Superiore regolare, cui è affidata la direzione del monastero. Questi Superiori regolari potranno farsi surrogare da un’altra persona ecclesiastica, sia secolare, sia regolare, purché esperta nel diritto canonico.

5. A nessuna persona religiosa sia lecito intimare la causa per nullità dei voti religiosi, se prima non provi che sta in convento e che ha ripreso l’abito religioso, se prima l’aveva abbandonato; durante il giudizio resterà sottoposta ai Prepositi regolari del suo Ordine.

6. Non saranno mai ammesse prove stragiudiziali, ma gli atti dovranno essere compilati in forma giuridica, e in essi gli argomenti siano presentati dalla persona che impugna la validità della professione religiosa; le interrogazioni invece siano fatte dal difensore. Sopra gli argomenti esposti e le risposte date si devono interrogare i testimoni; gli atti non compilati in questa forma saranno nulli, senza escludere le altre nullità, che potessero avere a termini di diritto.

7. Sotto la stessa pena di nullità devono intervenire al giudizio i protettori o difensori della casa religiosa, ossia del monastero, in cui l’attore ha fatto i voti; i parenti dello stesso attore e tutte le persone alle quali prima della professione avrà ceduto o donato i suoi beni; come anche le persone che siano ritenute quasi autori o complici dell’incusso timore, se l’invalidità dei voti si presume derivare dal timore; infine devono essere chiamati in giudizio tutti coloro, ai quali interessa la validità della professione religiosa. Inoltre tanto nel primo giudizio, quanto nelle seguenti revisioni, dall’Ordinario, o dai Vescovi cui spetta la decisione, si elegga un avvocato o difensore della professione religiosa, come nelle cause matrimoniali, che, prestato il giuramento di adempiere fedelmente e rettamente il suo ufficio, venga chiamato e consultato in tutte le cause di nullità e nei singoli atti, sia a voce, sia per iscritto, e debba intervenire in tutte le cause e nella revisione di esse, sotto pena di nullità, come è prescritto per le cause matrimoniali; per gli emolumenti di questo difensore si osservi la sopraddetta Costituzione di Benedetto XIV.

8. Nelle cause di restituzione in integro, i Vescovi da designarsi dalla Santa Sede sceglieranno un avvocato o difensore della professione religiosa, in tutto come sopra, e si osserveranno le suddette prescrizioni per compilare gli atti, per citare i testi e per tutte le altre formalità.

XIV. Desiderando ardentemente di provvedere all’utilità ed al comodo dei Siciliani, concediamo a tutti gli Arcivescovi, ai Vescovi ed agli altri Ordinari sprovvisti di diocesi che si trovano in Sicilia, ed anche ai Vicari capitolari canonicamente eletti, la speciale facoltà di dare dispense matrimoniali nel terzo e quarto grado di consanguineità ed affinità, sia semplice, doppio o misto, purché non tocchi il primo grado e purché esista una causa canonica e la dispensa venga concessa del tutto gratuitamente, senza ricevere il più piccolo emolumento, e sia solo in favore di coloro che sono veramente poveri; vogliamo però e comandiamo che nelle singole dispense sia fatta sempre espressa menzione di questa speciale facoltà apostolica. Parimenti vogliamo che s’intenda concessa questa facoltà di dare dispense matrimoniali, in modo tale che nessuno possa mai interpretarla come un impedimento ai fedeli siciliani di ricorrere direttamente, se così loro piace, a questa Apostolica Sede per ottenere le suddette dispense.

XV. Infine dichiariamo che tanto le facoltà di dare le dispense matrimoniali, quanto le altre concessioni apostoliche sopra riferite, devono durare solo per un decennio, dal giorno in cui la presente, data sotto l’anello del Pescatore, sarà pubblicata. Ciò, nonostante, per quanto sia necessario, l’unica dieta della felice memoria di Bonifacio VIII Nostro Predecessore, e le due diete del Concilio generale, sicché, in forza della presente, chiunque possa essere tratto in giudizio, anche dopo due o più diete o giorni; e nonostante le altre Costituzioni ed ordinazioni apostoliche, come pure tutte e singole le cose che nella Nostra Costituzione in data odierna abbiamo voluto non mostrare, ancorché degne di speciale ed individuale menzione, nonostante tutte le altre cose contrarie.

Ed ora, col maggiore impegno dell’animo Nostro, Venerabili Fratelli, di nuovo caldamente vi ammoniamo, esortiamo e scongiuriamo, affinché con quella energia episcopale che deve rendere forti tutti i sacri Prelati, procuriate che siano osservate e praticate tutte le cose che abbiamo ordinato ed approvato, ed adoperiate una speciale vigilanza, affinché siano eseguite con somma diligenza dai vostri sudditi. Eccitiamo gagliardamente il vostro zelo nel Signore, affinché per il ruolo che tenete, per la dignità di cui siete rivestiti e per la potestà che avete ricevuto da Dio, vogliate impavidi difendere e propugnare la causa, i diritti, la dottrina, la libertà e la disciplina della Chiesa cattolica e provvedere con sommo studio alla salute delle anime, principalmente in questi tempi tristissimi per la società cristiana e civile, nei quali i nemici di Dio e degli uomini, per svellere la religione dai suoi fondamenti e per corrompere il cuore e l’intelletto di tutti, si sforzano, con nefande macchinazioni di ogni genere, d’invadere da tutte le parti questa Rocca di Sion, e si avventano contro questa Sede di Pietro, costituita dal nostro Redentore in colonna di ferro ed in muro di bronzo contro i principi delle tenebre. Non cessate mai dunque di tentare e di adoperare tutti i mezzi, affinché i fedeli a Voi affidati, ogni giorno meglio nutriti con le parole della fede e della religione, ed accesi dai sentimenti della pietà, camminino degni di Dio, piacendogli in tutte le cose; e con somma osservanza si tengano uniti strettamente a Noi ed a questa Cattedra di Pietro, e si glorino di professare la dovuta riverenza e obbedienza alle leggi ed alla disciplina della Chiesa ed alle prescrizioni dei sacri canoni.

Come auspicio di tutti i doni celesti e pegno della Nostra precipua benevolenza per Voi, diamo con sommo amore e dall’intimo del Nostro cuore l’Apostolica Benedizione a Voi, Venerabili Fratelli e Diletti Figli.

Vogliamo poi che alle copie di questa lettera, anche stampate, sottoscritte da un pubblico notaio e munite del sigillo di persona insignita di dignità ecclesiastica, si presti la stessa fede, in giudizio e fuori, che si presterebbe se fosse presentata nel proprio originale.

Dato a Roma, presso San Pietro, sotto l’anello del Pescatore, il 28 gennaio 1864, anno decimottavo del Nostro Pontificato.

 

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