Sillabo e modernita’

1 – GENESI E FINE DOTTRINALE

I1 Sillabo ormai ha centoventott’anni: non troppi, se è ricordato ancora in tutte le opere storiche sull’Ottocento europeo; ma troppi comunque, da poter essere vivo nella coscienza popolare ed ecclesiale.

Riparlarne oggi, quando tanti argomenti attuali sarebbero da mettere sul tappeto, parrebbe hobby da antiquariato, daarcheologia teologica. Ma il Sillabo mette in causa Pio IX, e Pio IX ci riguarda; il Sillabo investe il Magistero pontificio, ogni giorno più attivo sulla nostra cultura, e ripropone il capitolo, mai chiuso, del rapporto fra cattolicesimo e civiltà moderna.

Pio IX nel Sillabo avrebbe condannato tutti i principi fondamentali del Liberalismo (libertà di pensiero, di stampa, di coscienza, di culto; la laicità dello Stato; la indipendenza di principi e di metodi della scienza; la ricerca del progresso…). Gli stavano suggerendo di conciliarsi e concordarsi col progresso, col Liberalismo, con la moderna civiltà – come hanno fatto poi Giovanni XXIII nella Pacem in terris e Paolo VI -; invece colpì d’anatema anche questa invocazione.

Si presenta così la domanda: poteva Pio IX essere il papa: il custode e garante dell’ortodossia cattolica, il supremo maestro della fede e della morale e, insieme, condividere e accreditare il Liberalismo?

Se fosse stato obiettivamente possibile, allora Pio IX fu miope e ritardò, se proprio non fece indietreggiare, il cammino della Chiesa; se invece non si poteva essere cattolici e liberali (di quel Liberalismo), allora gli si dovrà riconoscere, storicamente, coerenza intellettuale e morale – che è fattore di umana grandezza.

Quindici anni – o, limitandoci ai tempi operativi, almeno dodici – ha impiegato il Sillabo a nascere; e sono ormai definitivamente accertate le vicende e le fasi attraverso cui si è giunti alla sua promulgazione 1’8 dicembre 1864: consultazione di Vescovi; commissioni preparatorie di Cardinali e teologi; bozze, schemi, istruzioni, memorie preparati da Vescovi, teologi, rettori di università famose; sospensioni e riprese di lavori a seguito di emergenze politiche, a fughe di documenti, ad interventi critici, a pressioni dissuasorie od esortative. Sappiamo ormai tutto (1), come forse di nessun altro Documento magisteriale.

Ciò che si ricava perentoriamente da tutta la massa d’informazioni storiche in nostro possesso è che:

  1. I1 Sillabo fu immaginato e promulgato come atto dovuto del Magistero ecclesiastico, della missione propria del Papato di custodire e garantire l’ortodossia cattolica, in conformità e in ossequio ad una autorevole tradizione, che continuerà anche dopo Pio IX.
  2. Ragioni e circostanze particolari, come in Francia la politica antiecclesiastica di Napoleone III e in Italia del Piemonte; l’occupazione delle Legazioni dell’Umbria e delle Marche; la soluzione anticlericale della questione risorgimentale; ed il bisogno, ovunque, di riaccreditare la diminuita autorità del Papa…: possono aver avuto qualche influenza su tempi e modi della elaborazione, mai però sul merito del Documento, la cui prima idea risale al 1849, a prima cioè di tutte quelle vicissitudini, e il cui destinatario non è la Francia o l’Italia, ma la Chiesa universale (“A tutti i venerabili fratelli Patriarchi, Primati, Arcivescovi e Vescovi che hanno la grazia e la comunione della Sede Apostolica”).
  3. Così che la tesi di una genesi e giustificazione politica del Sillabo (2) risulta gratuita e antistorica.

La conoscenza documentaria di tutte le faticose controversie attraversate dal Documento è senza dubbio illuminante dal punto di vista ermeneutico, e non lo è di meno l’accurata disamina delle interpretazioni, appropriazioni, manipolazioni sopravvenute (3). Ma ciò su cui si ha da pronunciare il giudizio storico-teologico non sono né le une né le altre, bensì il Documento così com’è, nel suo genere letterario, con la sua struttura, il suo lessico, la sua sintassi, col significato che inside e promana nelle e dalle parole che lo costituiscono, con le caratteristiche che gli sono proprie e bisogna mostrare.

2 – NATURA TEOLOGICA DEL SILLABO

Si tratta di un documento teologico sia nella sostanza che nella forma o tecnica di redazione, nel senso che:

  1. consiste in giudizio e valutazione di tesi o idee filosofiche, politiche e sociali, non secondo criteri intrinseci logico-filosofici; non sulla base dell’evidenza o della logica dimostrazione dei rapporti in esse correnti fra soggetto e predicato; né sulla base di effetti ottenibili da loro applicazione in ordine all’individuo o alla società; ma sub specie veritatis revelatoe (alla luce della verità rivelata), in rapporto ai dati della fede: se coerenti o meno, quelle idee e tesi, con le certezze cristiane e se capaci di favorire il cammino della salvezza, di mandare la Chiesa avanti verso Dio “in sé sicura ed anche a lui più fida” (4).
  2. È redatto nel linguaggio e nei moduli propri della teologia: di una teologia che si vale delle categorie e dei procedimenti propri della filosofia aristotelico-tomista, recentemente e da Pio IX stesso rimessa in auge nella cultura cattolica.

Ne segue che indebita, impropria, deviante sarà ogni lettura ed interpretazione del Sillabo fuori dell’ottica teologica e senza gli idonei strumenti ermeneutici.

Nell’ambito dei documenti magisteriali teologici il Sillabo costituisce un genere particolare, inusitato e, nel suo insieme, unico. Si tratta, infatti, di un “Elenco dei principali errori dell’età nostra”: di un elenco di 80 proposizioni, secche, stringate, essenziali, la più lunga delle quali, la 47 a, è di una cinquantina di parole e le più corte, la 55a, 63a, 74a, di cinque parole.

Le 80 proposizioni, non recano, nessuna, la cosiddetta nota teologica che, cioè, la qualifichi come eretica, temeraria, scandalosa, offensiva delle orecchie pie ecc.; ma sono giudicate e condannate tutte insieme nel Titolo genericamente comeerrori.

Proprio per questa novità di struttura e anche per il fatto d’essere presentato dal card. Antonelli, autorità non magisteriale; non risultandone, appunto, dalla forma l’autorità e il tipo di assenso da esigere: il Sillabo è legato ad una Enciclica, la Quanta Cura – documento indubbiamente magisteriale – e con essa, in rapporto con essa, va accolto e letto.

Credo che proprio per queste ragioni, e per altra che subito dirò, l’enciclica Quanta Cura contenga essa stessa un elenco di proposizioni errate, il maggior numero delle quali un po’ diverse, ma solo sul piano espressivo (e verosimilmente attinte ad una bozza del 1862), recitate però in un tessuto espositorio, dimostrativo e parenetico, mentre il Sillabo è, come già detto, un elenco di proposizioni secche, appena aggruppate sotto dieci titoli o in dieci paragrafi. Reduplicazione senza dubbio cosciente, a far intendere l’inscindibilità del Sillabo dalla Quanta Cura e l’equivalente valore.

3 – DI CHI LE PROPOSIZIONI?

Ci si potrebbe chiedere, adesso, donde vengano, di chi siano quelle 80 proposizioni che i due Documenti condannano come errori.

Esse sono ricavate dalle Encicliche e da Documenti, molteplici, che Pio IX aveva già pubblicato per esporre insegnamenti vari e segnalare via via opinioni contrarie alle verità professate nella Chiesa. Minuziosamente il Sillabo, e puntualmente, indica, dopo ogni proposizione, le fonti piane di provenienza.

Quanto, dunque, contiene il Sillabo era stato già tutto condannato. E rimane difficile da spiegare, altrimenti che per ignoranza o per malafede, la sorpresa e l’indignazione contro il Sillabo, quando né altrettale né altrettanta se n’era avuta nei confronti delleEncicliche. Di nuovo c’era solo che tanti diversi errori, già singolarmente condannati in diversi Documenti, ora erano elencati e condannati insieme, tutti in una volta in unico Documento.

Ma, pur sapendo che quelle proposizioni errate sono immediatamente desunte da fonti piane, resta da affermare che, in quelle prima e nel Sillabo poi, esse erano pervenute da opere e trattati, o da comportamenti e provvedimenti tradotti in testi, di Illuministi, Razionalisti, Semirazionalisti, Giurisdizionalisti, Socialisti, Massoni, Liberali…; non sempre tali quali erano uscite dalle loro penne, ma riformulate teologicamente ed uniformate stilisticamente.

Così che, tali e quali sono nei Documenti del ’64, (Quanta Cura e Sillabo) paradossalmente non sono di altri che dei redattori di questi Documenti; e per gran parte di esse, qualora non soltanto le proposizioni ma i loro assertori si fossero voluti condannare, difficilmente su persone definite, nome e cognome, sarebbe potuta cadere la censura.

Non sarebbe stato meglio, allora, riproporre, anche nel loro contesto immediato, le proposizioni autentiche, cioè del loro proprio e riconoscibile autore ?

A parte il fatto che ciò non sarebbe stato sempre possibile essendo non poche tesi ricostruite da fatti, leggi, prowedimenti, per interpretazione, esplicitazione e reductionem ad principia, la ragione della procedura del Sillabo sta nel suo destinatario e nel suo scopo: voleva essere, ed è, un documento indirizzato ai Vescovi al fine pastorale di indicare loro le idee da cui tener lontani i credenti, al fine di indicare gli errori, non di colpire gli erranti, e semmai mettere in causa proprio e solo coloro che precisamente quelle idee e tesi professassero.

4 – LA RELIGIONE DELLA LIBERTA’

Quanta Cura e Sillabo non si limitavano a questo: a stralciare da contesti immediati delle frasi, a formularne dove mancassero esplicite, a dare a tutte una veste formulare medesima. Riconducevano e riordinavano a sistema proposizioni sparse, slegate fra loro e appartenenti a sfondi ideologici disparati (razionalismo, illuminismo, positivismo storicistico ecc.), in modo da lasciar trasparire e far cogliere, come in filigrana, una tessitura compatta, anzi la matrice remota unica donde tutte promanano. Questa: invece che la religione di Dio (da cui discendono agli uomini diritti e doveri, precetti morali e sociali, salvezza da coercizioni e decadimenti…), la religione della libertà che, intesa come libertà dalla religione, equivale ad assolutizzazione ed infinitizzazione della soggettività, ossia della coscienza, del pensiero, delle libertà individuali.

Non si insisterebbe mai troppo su questa caratteristica di sistematicità dei due Documenti Piani, diciamo pure ormai globalmente del Sillabo: di sganciare le singole e disparate tesi della cultura laica mediottocentesca dai loro prossimi e provvisori contesti storici e locali, per collegarle invece tra loro (orizzontalmente) e radicarle (verticalmente) alla loro comune matrice, e situarle in quello che ritiene essere il loro vero orizzonte: il liberalismo filosofico.

Fu un’operazione metodologicamente necessaria e culturalmente preziosa.

Bisogna infatti ricordare che diversa era nei Paesi Occidentali la accezione di Liberalismo; diverse le idee, i contenuti, i sentimenti, i valori, le prospettive che quell’orientamento e le sue parole d’ordine evocavano.

In Italia si sapeva che Progresso, Libertà e Nuova Civiltà significavano (anche) ferrovie, illuminazione delle strade a gas e tutte le altre migliorie così interessanti per Pasolini, Minghetti, Cavour. Ma gli Italiani probabilmente non ponevano tali cose in cima ai loro pensieri; quei termini nel loro significato controverso stavano per laicismo ed anticlericalismo, soppressione dei conventi e dei monasteri e costrizione ad educazione laica. In Inghilterra invece Progresso e Nuova Civiltà volevano dire anzitutto la grande Esposizione del 1851, mentre Liberalismo era più vicina a quella italiana, significando, per moltissimi, i principi e le gesta della Rivoluzione del 1789. In America, infine, in quella parole si vedeva indicato quanto vi era di più sacro, e rara o assente vi era la connotazione antireligiosa ed anticristiana.

Ebbene, il Sillabo, redigendo le tesi di questo vario Liberalismo e riconducendole a una sola radice:

  1. ne forniva una precisa ed esclusiva chiave di lettura e di interpretazione
  2. ne indicava perentoriamente, a chi non se ne fosse accorto, non volesse vedere o intendesse nascondere, ambito e contenuti opposti alla fede e alla morale cattolici.

Come dire che: quelle tesi liberali che – soltanto quelle che e nella misura in cui – si riconducevano ed equivalevano al principio ultimo del liberalismo filosofico anticristiano erano condannate come contrarie alla fede cattolica.

5 – LETTURA SISTEMATICA

Si può comprendere come, concepito e redatto in chiave di sistema, il Sillabo vada letto e giudicato nel suo insieme, ossia: né leggendone e giudicandone le tesi una separatamente dalle altre, né, tanto meno, prescindendo dallo sfondo od orizzonte ideologico, dalla matrice filosofico-teologica, da cui tutte e ciascuna provengono, in relazione a cui tutte e ciascuna pigliano significato.

Perchè si capisca meglio e concretamente, al proposito dirò che talune tesi (così come prodotte nel Sillabo), prese isolatamente – qualora, cioè, non si tenesse conto della sistematicità, del contesto – potevano essere assunte e fatte proprie sia da liberali radicali che da cattolici (liberali e conservatori) e sono oggi accettabili o accettate. Ne traduco (in lessico e sintassi attuali) alcune:

15a – Ogni uomo è libero di abbracciare e professare quella religione che,

alla luce della ragione, riterrà vera.

16a – Praticando qualsiasi religione gli uomini possono conseguire la salvezza.

78a Ovunque a ciascuno per legge deve essere concessa libertà di culto. 18a – Il protestantesimo non è che una forma diversa della medesima vera religione di Cristo e in esso, ugualmente che nella Chiesa cattolica, si può piacere a Dio.

(Alcuna di queste proposizioni è stata, addirittura, la rivendicazione vittoriosa del cattolicesimo nei confronti dei regimi comunisti).

Cambia però il senso di queste proporzioni; esse non saranno più accettabili dal cattolico, qualora si leggano – come si hanno da leggere – in correlazione a queste altre:

la Non c’è nessun Dio distinto dal mondo

2a Non si può ammettere (razionalmente) alcun intervento di Dio sugli uomini e sul mondo

3a La ragione umana non ha bisogno di ammettere Dio; essa è l’arbitra unica del vero e del falso, del bene e del male, ed è totalmente autonoma

4a Tutte le verità religiose sono soltanto verità di ragione

6a Rivelazione e fede contraddicono alla ragione e sono di ostacolo alla perfezione dell’uomo

7a Profezie, miracoli, Sacra Scrittura e Gesù Cristo stesso sono favole e mttt

40a La dottrina della Chiesa cattolica è contraria al bene e agli interessi della umanità.

Così pure, fuor di contesto, sarebbero accettabili proposizioni come:

27a Clero e papa debbono essere esclusi da ogni cura e dominio di cose temporali

76a L’abolizione del potere temporale gioverebbe moltissimo alla libertà e prosperità della Chiesa

32a Il clero va giudicato dalla comune magistratura per eventuali reati civili o penali

33a È giusto che anche i chierici facciano il servizio militare

77a Oggi non è più giusto ed utile che la religione cattolica sia ritenuta l’unica religione di stato

55a Chiesa e Stato debbono essere separati.

Diventano invece contrarie alla dottrina cattolica, quando si leggano alla controluce delle proposizioni:

19a La chiesa non è una vera e perfetta società completamente libera, né ha diritti suoi propri che le siano stati conferiti dal suo divino Fondatore; ma spetta al Potere Civile definire quali siano i diritti della Chiesa e i limiti dentro i quali possa esercitarli

20a – Il potere ecclesiastico non paò essere esercitato senza il permesso e il consenso del Governo civile

39a Lo Stato, come origine e fonte di tutti i diritti, gode di un diritto tale che non ammette confini

42a Nel conflitto fra legge dello Stato e legge della Chiesa prevale il diritto dello Stato

44a L’autorità civile può intervenire nelle cose concernenti la religione, la morale, la coscienza e l’amministrazione dei sacramenti

49a e dettarne norme circa 1’esistenza, la sostanza

51a – e le forme, nonché i beni

54a delle Professioni e degli Ordini religiosi.

Quanto detto sinora è l’indispensabile premessa per un giudizio sul Sillabo più illuminato, più equo di quanti ne siano stati già formulati.

E un verdetto di moda, pronunciato una volta, allora, dopo 1’8 dicembre 1864, e ripetuto instancabilmente, acriticamente, purtroppo anche da teologi (da Dollinger, a Kung, ad Hasler, a Tillard, a P. De Rosa) che Pio IX col Sillabo “abbia condannato a suon di elenchi, senza alcun barlume di riflessione ecclesiastico-teologica, le idee fondamentali della civiltà moderna”:libertà di pensiero, di stampa, di coscienza, di culto, di ricerca scientifica, esigendo l’incondizionata sottomissione dell’uomo, della scienza, dello Stato all’autorità della Chiesa (5).

In verità la Quanta Cura condanna come “opinione sommamente ruinosa per la Chiesa cattolica e per la salute delle anime – chiamata delirio e libertà di perdizione dal nostro predecessore Gregorio XVI – quella secondo cui:

1   la libertà di coscienza e di culto è un diritto proprio di ciascun uomo….

2   i cittadini hanno diritto ad una libertà totale, che non deve essere ristretta da alcuna autorità ecclesiastica o civile,

3   e possano manifestare pubblicamente i loro pensieri a parole, a mezzo stampa, in ogni modo…”.

E il Sillabo condanna, nella prop. 3a, il principio per cui la ragione è criterio unico ed autonomo di verità; e, nella prop. 79 a, chi non ritiene peri

colosa per la fede e per la morale la libertà di pensiero, di opinione e di culto.

6 – GIUDIZIO STORICIZZATO

Ma, per capire esattamente queste condanne e non cadere volgarmente in equivoco, bisogna osservare e ricordare l’ultima caratteristica strutturale dei due Documenti piani: quella della storicità.

Il giudizio di Pio IX sulle famose libertà è storicizzato: non verte su quelle in sé e per sé, astrattamente considerate, in assoluto, o come avrebbero potuto intenderle i cattolici; bensì “nel senso preciso in cui le intendevano i nemici della Chiesa” in quel preciso momento storico (ó): cioè nella precisa prospettiva del liberalismo illuministico, nell’orizzonte della religione della libertà, nell’accezione e nella interpretazione romantica (fuor d’ogni limite, infinitivamente, sino all’al di là del bene e del male,per dirla in termini di poco dislocati) a cui Quanta Cura e Sillabo le riconducevano.

Chi legge, dunque, il Sillabo come esso richiede, ossia vedendone le proposizioni imbevute dello spirito proprio delliberalismo illuministico, non può più sostenere la reazionarietà di Pio IX relativamente ai principi liberali e progressisti. Vede bene – anche rifacendosi alle Encicliche donde le proposizioni sono estratte, come ad esempio all’Editto del 15-3-1847 dove si distingue accuratamente fra onesta libertà dello stampare dalla dannosa licenza – come il Mastai condanni non i principi in assoluto e in astratto, ma nella concretezza delle circostanze storiche e culturali. Non condanna, ad esempio, la libertà di pensiero, di parole, di stampa, di coscienza e di culto sic et simpliciter, ma respinge la sf renata libertà di pensiero, quella, cioè, che non riconosce nemmeno la destinazione essenziale del pensiero alla verità, che per un cattolico è, non esclusivamente bensì fondamentalmente, la verità divina rivelata; non la libertà di parola in astratto, ma la libertà di parola che non tenga conto della suggestionabilità dei deboli, degli ignoranti o meno provveduti, e del pericolo di trarli in errore e far perdere loro il beneficio della fede; non la libertà di coscienza e di culto in astratto, cioè di chi non conosca o non sia riuscito, in buona fede, a convincersi della trascendente ed unica verità del Cristianesimo, ma quelle libertà in quanto rivendicate in nome di un totaleindifferentismo religioso e di un intransigente agnosticismo…

7 – DOTTRINA CATTOLICA

Vedrebbe, infine, che Pio IX, proprio a titolo della sua responsabilità di Maestro e di Pastore supremo e universale, non poteva procedere che come ha fatto, muovendosi su di un orizzonte culturale diverso, attenendosi cioè alla dottrina cattolica.

Secondo questa, il pensiero ha un limite intrinseco: il consentiment all’essere, l’adaequatio ad rem, l’evidenza o la dimostrazione, la Rivelazione dimostrata possibile e storicamente accertata; la volontà un limite intrinseco: l’adesione al bene come a suo oggetto formale e fine: che poi non è un limite, ma la perfezione; la libertà un limite intrinseco (l’illuminazione dell’intelletto non deviato dalle passioni) e una condizione sine qua non (la dissoggettazione alla violenza cogente delle passioni o alla violenza esterna); la libertà d’espressione un limite intrinseco (l’ossequio alla verità) ed uno estrinseco (ilrispetto della coscienza altrui e l’intenzione di far progredire nel vero e nel bene), e via dicendo.

La posta in giuoco era tale, l’urgenza di ristabilire la verità e la libertà cattolica era tanta, che né timore d’impopolarità, né previsione di sconforti e ferite morali poterono trattenere Pio IX dall’intervenire contro quel liberalismo.

Temettero i cattolici liberali – in ciò anche intimoriti dalle interpretazioni di cattolici intransigenti – che fossero state condannate anche le loro idee, d’essere stati anch’essi condannati. Ma ciò che il Sillabo condanna è chiarissimamente indicato: idee e tesi – che riguardino la religione, la Chiesa, i rapporti fra Chiesa e Stato, la libertà, la morale…- in quanto ispirateall’agnosticismo, all’indifferentismo religioso. Se il liberalismo cattolico non era questo, non era condannato.

I1 se dipende dal fatto che il cosiddetto liberalismo cattolico comprendeva posizioni molto diverse, difficili da ridurre a denominatore comune. Tutti sostenevano la necessità di conciliazione fra cristianesimo, e libertà e progresso. Ma il modo e i limiti in cui si intendeva quella conciliazione erano molto differenziati, fino a dare, taluni, l’impressione di essere sul punto di scivolare dal terreno delle concessioni pratiche, ammissibili, in quello dell’abbandono dei principi. Pio IX conosceva (non:perse di vista, come direbbe Aubert) la distinzione fra liberali puri e semplici e cattolici liberali. Ma vedeva anche le differenze fra questi ultimi. Si rendeva conto che svolgevano un compito utile e prezioso: di tentare lo sganciamente delle libertà civili dalla matrice illuministica irreligiosa, per assumerle nella civiltà cristiana; ma capiva pure quanto fosse rischiosa una critica interna del liberalismo radicale, che, a sua volta, nulla concedeva al cristianesimo, alla Chiesa. Facessero pure, icattolici liberali, con molta cautela, la loro opera di ermeneusi e di teologia! Magari avessero trovato una via cristiana a quelle libertà (il vescovo Maret, ma lui solo e inascoltato)! Pio IX sentì che al Magistero ecclesiastico, pontificio, in quel momento e in quella situazione, incombeva altro compito: quello medicinale-pedagogico di indicare e condannare gli errori.

Oggi ci accorgiamo, ad itinerario concluso (e ce lo ha ricordato Giovanni XXIII nella Pacem in Terris) come il liberalismo,anche nato da una filosofia naturalistica, poteva avere una evoluzione non necessariamente incompatibile col cattolicesimo. Ma in quel momento gli si opponeva diametralmente e ab extrinseco, contraddicendone i principi basilari. Non si poteva che respingerlo in tronco, ugualmente ab extrinseco, lasciando magari che le forze vitali del pensiero cattolico, rese più guardinghe e awertite dalla condanna papale, cimentandosi col pensiero liberale, ne valorizzassero l’anima di verità e lasciassero decantare l’errore.

Dispiace constatare come al Silabo abbiano reagito nervosamente – non intendendo il dovere magisteriale e la preoccupazione pastorale del Papa – anche cattolici benemeriti come Montalembert, od abbiano arrecato, in buona fede e al nobile scopo di far smontare l’uragano della contestazione radicale, interpretazioni ingegnose ma sostanzialmente riduttive se non devianti, come il vescovo Dupanloup (7). E dispiace il dissenso di teologi e di storici cattolici attuali, di cui singolarmente espressivo e negativamente esemplare è questo passo:

“Il documento, preparato durante quindici anni, passato per tante redazioni successive, oggetto di tante discussioni, non era riuscito a precisare in modo chiaro gli errori del tempo; e se aveva il merito di ribadire ancora una volta l’ordine soprannaturale, non rispondeva agli interrogativi sempre più urgenti sui limiti della libertà. Alla radice di tutte le ambiguità del Sillabo, che provocarono discussioni largamente inutili e costituirono un grave handicap di libertà di coscienza, sta l’assoluta mancanza di prospettiva storica e concreta dei consultori romani, e l’univocità con cui essi intendevano la libertà di coscienza. Per essi, come per Gregorio X VI, questa era solo un corollario dell’indifferentismo; sarebbe stato necessario un secolo per ricordare e accettare altri significati, ben diversi, della libertà di coscienza, fondata sulla dignità della persona umana.

Intanto cattolico-liberali e intransigenti, sia pure con qualche sfumatura nuova, rimanevano sulle posizioni di prima: il Sillabo aveva fallito il suo scopo” (8). (Martina)

8 – VALIDITA’ DELLA RAGIONE

Purtroppo per chi tali righe ha vergato, non ci sono ambiguità nel Sillabo, né ci fu mancanza di prospettiva storica in chi lo propose. E quanto all’univocità non è da addebitare meno ai liberali di quanto non la si rimproveri ai cattolici.

Infine, il Sillabo non ha fallito il suo scopo. Volle essere, e fu, la condanna di errori. E all’uomo serve che gli si additi l’errore non meno di quanto gli occorra la proposta della verità. Così il Sillabo concorse a che la cultura liberale evolvesse in senso non anticristiano, si lasciasse, anzi, permeare in profondità dalla tradizione cristiana.

È vero però che da quell’8 dicembre acre si fece il rancore dei liberali contro il papa del Sillabo, e risentita, amara, non scevra di riserve l’adesione alla Chiesa dei cattolici moderati, deluso l’amore e l’entusiamo verso il papa, che si sarebbe atteggiato a nemico della civiltà moderna, ad anacronistico ripropositore della ierocrazia di un Innocenzo III, di un Bonifacio VIII.

Ma non sarebbero passati cinque anni (1870: Concilio Vaticano I) che si sarebbe potuto capire come, paradossalmente, proprio dentro la cultura dell’Ottocento, donde più fervido pareva levarsi l’inno alla Ragione, se ne delimitava difatto il raggio e la portata d’azione; e proprio da parte di quel magistero ecclesiastico, da parte di quella fede cristiana che dal Razionalismo era stata messa in stato d’accusa, da parte di quel Pio IX che col Sillabo avrebbe negato libertà al pensiero, ne sarebbe venuta la più alta riaffermazione.

Qual era poi quella libertà del pensiero che tanto fieramente si conclamava e reclamava, da paventare oppositori anche dove non erano? Qual era poi questa già dea Ragione, in nome della cui sovranità e indipendenza tanti credevano di dover combattere contro la Chiesa di Pio IX?

Ma non l’aveva già, proprio Cartesio, il padre del Razionalismo, disancorandola dall’essere, ripiegata narcisisticamente su se stessa e costretta nella camicia di forza delle idee innate? E non erano proprio l’Illuminismo, il Criticismo Kantiano e, poco più tardi, al tempo di Pio IX, il Positivismo a tagliare le ali alla Ragione ed a rinchiuderla, lei che aveva spaziato per i cieli amplissimi della metafisica, dentro le sbarre sicure ma anguste della esperienza? E non era stato -recente e tuttora vitale al tempo del Sillabo – il Romanticismo a scoronare la Ragione del primato, del ruolo di misura e di guida nell’ambito delle facoltà umane, attribuendolo invece al sentimento, all’irrazionale? Ed anche l’Idealismo, nella pretesa di restituire infinità alla Ragione,non potrà far altro che insediare l’irrazionale nel centro dello spirito.

L’inno al pensiero si smorzava, alla fine dell’Ottocento, in necrologio. Ormai al tanto deprecato dogmatismo succedevano problematicismo, relativismo, scetticismo (oggi il pensiero debole). E se il pensiero era stato sempre riconosciuto l’originale titolo di nobiltà dell’uomo, la dichiarata (non da Pio IX!) miseria del pensiero non avrebbe potuto che avviare all’umiliazione dell’uomo: agli orrori delle guerre e poi dei campi di sterminio, delle dittature, della miseria di interi continenti. E quando l’uomo non crede più in se stesso, non ha più fiducia nel pensiero, non ci si illuda che sia il momento della fede, dell’abbandono in Dio! Vana è la fede che pretenda innalzarsi sulle rovine, sulle ceneri della ragione.

Tanto più umana ed utile all’uomo, la fede, quanto più forte si regge e s’innalza sulle spalle della ragione (“fundamenta eius in montibus altis”).

Pio IX comprese che per esaltare la fede occorreva riconoscere, ridare fiducia alla ragione, memore – lui, promotore della ripresa della filosofia scolastica – del grande effato tomistico: “fides non potest universaliter praecedere intellectum : non enim po s set homo as senti re credendo aliquibus propositis, nisi ea aliqualiter intelligeret” (la fede non può sempre e in tutto precedere la comprensione dell’intelletto: non potrebbe infatti un uomo assentire col credere a qualcosa che gli venga proposto, se non potesse in qualche modo capirlo) (9).

E uscì dal Vaticano I – da quello stesso Concilio da cui usciì il dogma dell’infallibilità del papa, in cui volle vedersi l’atto conclusivo del Sillabo, la condanna finale della libertà di pensiero, sacrificata all’autorità assoluta di una testa sola – uscì dal Vaticano I la Costituzione dogmatica Dei Filius, in cui si riconosce alla ragione: di essere fatta per la verità, di potersi elevare alla conoscenza di Dio, di poter dimostrare possibilità e fatti che sono al fondamento della fede e in cui si afferma, non solo l’impossibilità di opposizione, ma l’aiuto reciproco fra fede e ragione, e si conclude:

“è tanto lontano dall’intenzione della chiesa di opporsi al progresso della scienza, da aiutarlo e promuoverlo anzi in molti modi. Non ignora, infatti, né disprezza i vantaggi che ne derivano agli uomini; riconosce anzi che, come sono uscite, le scienze, da Dio, così possono a Dio ricondurre. E tanto meno vieta che tali discipline nel loro proprio ambito usino principi e metodi propri; ma riconosce questa loro giusta libertà; ed accuratamente si preoccupa che l’umano sapere non introduca in sé l’errore con l’opporsi alla dottrina rivelata…” (10).

Così parlavano i teologi del Vaticano I, quelli stessi che avevano collaborato al Siltabo. Così diceva, sottoscriveva, avvolorava Pio IX, lo stesso papa che aveva emanato il Sillabo (non a contraddire, bensì a far capire il senso genuino di quel non lontano Documento).

9 – CHIESA E LIBERALISMO, OGGI

Credo ci siano ragioni a che storici e teologi convengano esser effetto di ingenua e sprovveduta lettura del Sillabo l’opinione, e l’accusa a Pio IX, che egli abbia, condannando il Liberalismo del suo tempo, isolato la cultura cattolica dal mondo contemporaneo, provocato chiusure e ritardi che nemmeno il Vaticano 1I sarebbe riuscito a superare, gettato le radici della grave crisi del cattolicesimo d’oggi. Pio IX è stato quello che doveva essere, e così il Sillabo. La condanna di quel Liberalismodipende dalla sua intrinseca incompatibilità col cattolicesimo: non con quel cattolicesimo – con una presunta interpretazione riduttiva o medievale che ne avrebbe data Pio IX -, ma con il cattolicesimo, del quale come Papa garantiva l’autenticità.

Se fosse vero che, dopo Pio IX, Paolo VI e il Vaticano II hanno rappresentato la tardiva realizzazione del cattolicesimo liberale – quello che temette d’essere condannato, anche lui, dal Sillabo – cercando di governare la modernità, sarebbe anche vero che la crisi dei comunismi e la sconfitta del materialismo di Stato consentono alla Chiesa di concentrare la sua attenzione contro l’avversario tradizionale, figlio dei Lumi e del 1789: consentono, cioè, a papa Wojtyla di improntare il suo magistero all’antica polemica contro il liberalismo, che egli identifica oggi con la secolarizzazione, il consumismo, il primato di valori terreni…

E se oggi la Chiesa cattolica – rinnovando la strategia rispetto a quella di Pio IX – non si riduce alla pura opposizione alsecolarismo, figlio naturale del liberalismo filosofico, ma utilizza molti strumenti messi a punto dalla democrazia liberale(dalla rivendicazione dei Diritti Umani -elemento centrale del Magistero attuale – alle libertà civili: di pensiero, di stampa, di coscienza, di culto…, ai principi del diritto internazionale, ad alcuni meccanismi del capitalismo – cf. la “Centesimus annus”, -ciò non si deve al fatto che il cattolicesimo si sia ravveduto nei confronti del Liberalismo o che il cammino della storia abbia smentito Pio IX, ma semplicemente al fatto che oggi abbiamo a che fare con un liberalismo economico e politico che in gran parte si è liberato dalla matrice filosofica illuministica e romantica. Abbiamo a che fare con un altro liberalismo rispetto a quello cui dovette opporsi il nostro papa Mastai.

Difficile dire se questo sarebbe stato il cammino del liberalismo senza il Sillabo. È certo, comunque, che Pio IX non ha rallentato, ma mantenuto nella giusta rotta il cammino della Chiesa.

Manlio Brunetti


Mencucci A. , Brunetti M. (a cura di), Atti senigalliesi nel Bicentenario della nascita di Pio IX, Senigallia, 1992, pp. 25-37.

I commenti sono chiusi.